A pensarci bene trovo veramente paradossale che in un momento come quello che stiamo vivendo altro non si senta dire in giro che “la fotografia è morta“.

Eppure mai come adesso la fotografia è viva.
Ogni giorno milioni di persone scattano e condividono miliardi di fotografie che immortalano ricordi, emozioni ed esperienze.
Come si fa a dire che “la fotografia è morta”?
Solo fino a qualche anno fa nelle famiglie (solo in quelle più agiate) c’era una sola macchina fotografica e questa, oltre ad essere motivo d’orgoglio per tutti, veniva maneggiata con grande cura e utilizzata con grande parsimonia soprattutto perchè per avere da un minimo di 12 fotografie fino ad un massimo di 36 bisognava acquistare una pellicola e poi portarle a far stampare tutte quante senza poter fare prima la selezione di quelle preferite.
Quando io ero bambino era così. A casa mia avevamo una sola macchina fotografica che usavamo in 10 e forse più persone (la mia non era una famiglia numerosa in questo numero ho compreso familiari, amici e parenti che non avendone una propria di fotocamera chiedevano la nostra in prestito 😉 ).
Mio padre possedeva infatti una fantastica fotocamera reflex “Praktica” ben accessoriata con obbiettivi intercambiali, lenti addizionali e filtri vari. Di tanto in tanto io me ne appropriavo e incominciavo a scattare le mie prime fotografie.
Ovviamente non succedeva tutti i giorni, capitava che io scattassi, se non ricordo male, 4 o 5 volte all’anno e ogni volta, prima di incominciare, dovevo valutare preventivamente la spesa che avrei dovuto sostenere. Per verificare il risultato del mio “lavoro” dovevo attendere un bel pò di tempo, anche mesi. Un “rullino” poteva rimanere montato nella macchina fotografica anche per anni interi prima di arrivare alla fine e quindi poter essere stampato.

La fotografia, allora, rappresentava davvero una “memoria storica“: le foto del mio compleanno, che cade a giugno, capitava di vederle a Natale quando ero già invecchiato di 6 mesi 🙁
Molte delle stampe andavano buttate e ogni volta insieme a loro nel cestino ci andava a finire anche il mio entusiasmo.
Ma ho saputo resistere e come potete vedere sono ancora quì con il mio smartphone in mano!
Oggi non ho più questo problema. In ogni casa, in ogni famiglia ci sono tante “macchine fotografiche” quanti sono i componenti e a volte anche qualcuna di più.
E non ci bastano neppure. Siamo sempre pronti ad acquistarne di nuove perchè tanto diamo per scontato che quelle che possediamo oggi non saranno più in voga domani e avranno una durata di vita breve. Presto saranno soppiantate dai nuovi modelli in arrivo che, con piccole rate, la nostra compagnia telefonica sarà pronta di volta in volta ad offrirci.
Mio figlio Valerio, che ha quasi 11 anni, possiede (come tutti i suoi amici del resto) la sua bella macchina fotografica, il suo Mini Ipad e la Nintendo DS: ogni volta ha l’imbarazzo della scelta su quale di questi strumenti usare per fare le sue fotografie e raccontare le sue esperienze.

Scatta belle immagini rivedendole in tempo reale e racconta tante storie ogni volta che ne ha voglia. Se qualcuna delle foto che fa non gli piace la cestina e la rifà cambiando inquadratura, composizione etc. Quando è ispirato può arrivare a scattare anche centinaia di immagini.
Ha 3 fotocamere/smartphone/consolle sempre a portata di mano, non spende nulla per fare gli scatti ed io, ricordando i vecchi tempi, non posso che essere felice per questo!
Vi sembra dunque verosimile sostenere oggi che la “fotografia è morta“? A me, sinceramente, sembra che sia nel suo momento più fulgido!
Io insisto col dire che questo è veramente un momento storico per la fotografia. Siamo in piena “era di democratizzazione della fotografia“. Chiunque, ricchi, poveri, belli e brutti che siano possono permettersi di fare fotografie e di raccontare le loro storie anche più intime ed istantanee.
Iphone e Instagram sono semplicemente due dei simboli più rappresentativi di questo cambiamento sono gli strumenti attraverso i quali tutti noi stiamo mettendo in atto questa grande “rivoluzione fotografica“.

Nessuno può dire se sia giusto o sbagliato ma la cosa è innegabile e certamente irreversibile.
Psicologi e Sociologi si prodigano nel fornirci spiegazioni razionali di quello che noi stiamo vivendo in relazione a quanto sta accadendo nel settore della fotografia.
Secondo la loro opinione Iphone e Instagram sarebbero i primi e unici responsabili della “morte della fotografia” (come dire che la tastiera di un computer potrà un giorno causare la “morte della scrittura”).
“Le immagini fotografiche” – dicono questi scienziati – “in quanto strumento per documentare la nostra storia personale e quella del mondo intero oggi non rappresentano più il vero valore che avevano prima dell’avvento di questi strumenti tecnologici…” additandoli come responsabili di una supposta patologica pigrizia mentale che ci affligge un pò tutti.
Dunque: utilizzando “strumenti infernali” come IPhone e Instagram noi staremmo per perdere la profondità e il vero senso delle nostre esperienze di vita quotidiana.
“…fotografare un piatto di spaghetti prima di mangiarlo ridurrebbe di molto le sensazioni di piacere e gusto legate al suo consumo.”
aggiungono:
“…fotografare la Gioconda di Leonardo significa svilire il vero e profondo valore dell’opera stessa e non ci fa acquisire alcun frutto di quella esperienza.”
Cioè, mi pare di capire dicano che: fotografando le cose e rivedendole istantaneamente ritratte sulle nostre fotocamere vuol dire far svanire nel nulla il ricordo di quel momento e quindi rendere vana l’esperienza vissuta.
C’è da preoccuparsi?
Forse qualcosa di vero in queste affermazioni ci sarà pure ma non vi nego che per quanto ci provi non riesco a convincermi del tutto.

Da che mondo è mondo il progresso, oltre a portarsi dietro vittime innocenti, ha regalato all’umanità intera anche grandi benefici. Perché nella fotografia non dovrebbe essere così?
Devo però essere oggettivo e trattare l’argomento a 360°. Devo a questo punto entrare anche nei panni del “fotografo professionista“.
Per quel che mi riguarda non posso esimermi dal valutare alcuni aspetti drammatici associati al concetto di “morte della fotografia“.
Trasformerei però questa definizione e parlerei di “morte del fotografo professionista” non della fotografia tout-court.
Il fotografo professionista vive oggi momenti di grande frustrazione non solo per questioni legate direttamente alla gestione della sua attività, ma in particolar modo perchè vede sminuire in maniera molto evidente il valore profondo della propria professionalità e dei suoi investimenti economici e affettivi.
Le commesse si sono drasticamente ridotte: i giornali non comprano più fotografie perchè non vendono e perchè hanno a disposizione grandi quantità di immagini gratuite; il settore della fotografia pubblicitaria vive anch’esso un momento di crisi e anche quello della moda.
E nel privato non va meglio. Penso a chi lavora a contatto con il pubblico: fotografi matrimonialisti, fotografi di eventi etc.
Sentir dire frasi del tipo: “…a fare le foto ci penso io“, “…ho un amico che mi fa le fotografie gratis e comunque ad un prezzo molto basso!” non può certo far piacere a chi vive davvero di questo lavoro.
Non più tardi di 2 giorni fa un vecchio amico/cliente con il quale ho collaborato per anni, bravo professionista nel suo campo, mi ha chiamato per disdire un lavoro che avevamo ormai programmato da tempo.
Mi comunicava che aveva deciso di realizzare il suo servizio fotografico con un giovane fotografo che si era offerto di fargli il lavoro gratis: “È un’occasione da non perdere! Mi capisci vero?” mi ha detto. Ed io l’ho capito!
Non mi sono risentito granchè, un pò me lo aspettavo. Il soggetto rientra in quella categoria di “clienti” un pò cialtroni, avvezzi a fare le loro lunghe ed estenuanti “ricerche di mercato” prima di investire un solo euro nel loro lavoro ma altrettanto veloci ad efficaci nell’incassare denaro.
Assisto dunque anch’io come tutti allo svilimento della professionalità del fotografo e in parte la subisco. Però non riesco per questo ad immaginare che la colpa di tutto questo sia da attribuire ad un’apparecchiatura tecnologica e/o ad un software fotografico. Cosa c’entrano l’Iphone e Instagram con tutto questo?

Io, ad essere sincero, non posso lamentarmi granchè del mio lavoro pur raccogliendo intorno molto malcontento.
Molte persone mi regalano ancora il privilegio di farsi fotografare da me e questo mi rende molto felice in particolar modo oggi quando questo gesto assume ancora un valore ancora più alto. A me piace, in modo particolare, fare ritratti e quindi direi che “la gente” è il mio lavoro non propriamente il “cliente”.
Sono terribilmente ed insopportabilmente curioso! Studio, leggo, mi guardo intorno e mi aggiorno sempre e con grande costanza. Non mi obbliga nessuno a farlo mi piace e basta!
Cosa dovrei fare? Prendermela con Iphone e Instagram? Rinunciare ad usarli? Prendermela con la tecnologia perchè la professione del fotografo “non tira”? Cambiare mestiere e “darmi all”ippica“?
Per ora continuo a fare questo mestiere pur amando convintamente l’Iphone, il Galaxy e Instagram (e, ovviamente, senza per questo smettere di adorare la mia Hasselblad e le mie Canon).
La “fotografia è morta“? Io non ci credo: a mio parere la “Fotografia è viva e vegeta” oggi più che mai.
È il momento di cambiare, di rinnovarsi di adattarsi ai nuovi tempi inventandosi nuove dimensioni e magari raccontando storie più vere e originali possibile senza scopiazzare a destra e a manca facendo un uso spropositato di Photoshop e simili diavolerie.
È il mondo che è cambiato e la nostra società si è radicalmente trasformata se in peggio non lo so.
La Kodak qualche anno fa assumeva 50.000 persone oggi bastano 10 persone per gestire una società come Instagram. Cosa possiamo fare noi per cambiare questa realtà?
Queste cose le avevo già lette 20 anni fa, colto da sconforto, in 2 libri che segnarono un pò la mia vita professionale.
Si trattava di un libro di Jeremy Rifkin intitolato “La fine del lavoro” e di “Essere digitali” di Nicholas Negroponte.
Due libri davvero iluminanti di cui consiglio la lettura a chi, anche se in ritardo, si è accorto solo ora che il mondo sta cambiando.
Io rimango dell’idea che se facciamo bene una cosa, ci piace veramente farla e dedichiamo a questa tutta la passione e l’entusiasmo che merita questo da solo potrà bastarci per riempire buona parte della nostra vita rendendoci davvero unici.
Tutti possiamo ancora raccontare le nostre storie e leggere il mondo con i nostri soli occhi perchè veramente ognuno di noi è unico e irripetibile, progresso o non progresso!
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Trovo l’articolo assolutamente calzante e realistico. Anch’io penso che la fotografia non sia morta anzi via più viva che mai e forse anche grazie proprio agli smartphone e programmini al loro interno. Vero che vi sono state e forse vi saranno delle perdite (fotografi professionisti, ne conosco alcuni e, tutti indistintamente o hanno chiuso e si sono riciclati). Questo purtroppo è un danno collaterale della democratizzazione della fotografia. ma parafrasando un nobile detto: “la fotografia è morta, viva la fotografia”.
sono un genio, è ufficiale! 😀 ora edito
Mi è piaciuto molto l’articolo, a mio parere centri il punto in pieno quando parli di progresso a beneficio di molti ma che inevitabilmente miete anche vittime innocenti.
Sull’impatto negativo sul lavoro del fotografo mi piace pensare che la maggiore accessibilità alla tecnologia abbia portato solo ad una selezione naturale più severa, prima del digitale “per tutti” chi poteva praticare doveva fare un investimento importante ma al contempo questa barriera d’ingresso lo tutelava mantenendo il mercato esclusivo per pochi, questo ha aiutato anche il mediocre che solo in virtù della propria capacità di spesa ha potuto lavorare senza la concorrenza di chi non era altrettanto capace finanziariamente.
sono un genio, è ufficiale! 😀 ora edito
Elio, perché la crescente produzione e la bulimia di immagini a cui stiamo assistendo rischia di diventare sempre più un’esperienza personale e privata, ogni singola immagine si immerge in un oceano di immagini, tutte vere, tutte false, tutte originali, tutte copiate. Mi chiedo, ma senza sentimentalismi, che cosa possa diventare la rappresentazione del mondo, la sua interpretazione attraverso l’immagine, e cosa possa significare per la nostra coscienza questa dimensione “spoetizzata”.
Caro Mauro questo è il dilemma di sempre per chi fa immagini e/o arte in generale… ma in fondo perchè dovremmo preoccuparci di questo?
La questione non è se siamo in grado o meno di vedere e raccontare storie attraverso le immagini, ma se c’è o ci sarà qualcuno in grado di vederle, capirle per mantenere quel pezzo di vita o di apprezzarne ancora la poesia.
Caro Mauro questo è il dilemma di sempre per chi fa immagini e/o arte in generale… ma in fondo perchè dovremmo preoccuparci di questo?
Elio, perché la crescente produzione e la bulimia di immagini a cui stiamo assistendo rischia di diventare sempre più un’esperienza personale e privata, ogni singola immagine si immerge in un oceano di immagini, tutte vere, tutte false, tutte originali, tutte copiate. Mi chiedo, ma senza sentimentalismi, che cosa possa diventare la rappresentazione del mondo, la sua interpretazione attraverso l’immagine, e cosa possa significare per la nostra coscienza questa dimensione “spoetizzata”.