Intervista fotografo di moda per Progresso Fotografico “SERIE ORO”:
Elio Leonardo Carchidi
Versione integrale: Scarica l’intervista al fotografo (pdf 4 pagine 2.7 mb)
Aprendo il suo sito internet alla pagina “clienti” si trovano nomi come Rai; Sky e Canale 5, Sony e CBS, Banca BNL, Versace e Onyx; e poi quotidiani e riviste come Corriere della Sera, Wired, Mondadori, Interview. Una simile esperienza non si improvvisa, iniziamo quindi l’intervista cercando di scoprire come è nato il fotografo Elio Leonardo Carchidi.
D. Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Come molti di noi, credo. Con mio padre, medico ma grande appassionato di natura, avevamo deciso che nel suo (pochissimo) tempo libero saremmo andati in giro per i boschi a fotografare fiori e piante officinali per illustrarle e poterle poi studiare. Fu lui ad acquistare la nostra prima reflex con ottiche intercambiabili, un’Exacta 35mm con tre obiettivi e filtri colorati.
Dove vivevamo non era semplice trovare un laboratorio di sviluppo e stampa a colori, mentre per il trattamento del bianconero ci rivolgevamo al fotografo del paese, amico fraterno di mio padre, per altro bravissimo. Ho avuto quindi il privilegio sin da bambino di imparare tutte le fasi della produzione della stampa in camera oscura: vedere apparire magicamente su un foglio di carta l’immagine che poco prima avevo inquadrato attraverso il mirino della mia macchina fotografica, le sue sfumature di ombre e luci, mi ha subito rapito.
Inutile dire che ho iniziato con l’analogico: Exacta, poi Nikon (FTn, FT2, F2). In camera oscura invece utilizzavo i materiali Agfa, Kodak e Ilford sia per sviluppare le pellicole, che per stampare.
Il mio primo ingranditore è stato un Iff e poi un Durst, acquistato tramite la famosa Scuola per corrispondenza Radio Elettra di Torino alla quale mi ero iscritto; avevo 12 o 13 anni e non vi erano altre opportunità.
Trasferitomi a Roma (nel 1976, dopo la maturità) ho proseguito i miei studi di fotografia allo IED: qui ho scoperto il banco ottico e le fotocamere medio formato che ho utilizzato per decenni.
D. Come scegli i soggetti e la luce?
Quando si fa il fotografo per professione spesso sono i soggetti a scegliere te, oppure li sceglie il cliente. Devo confessare che questo è stato spesso per me un motivo di frustrazione, ed ha rischiato di farmi disamorare del mio mestiere. Però questa esperienza è servita. Quando è possibile sono comunque io a scegliere il soggetto, e mi baso sull’istinto: conosco una persona, la osservo e subito capisco se c’è feeling.
Parto con le idee più o meno chiare, mettendo bene a fuoco il risultato che desidero ottenere e allestendo con coerenza il set. Alla fine però l’istinto prevale e do libero sfogo alla mia“creatività”.
L’illuminazione la gestisco prestando molta attenzione alla tecnica, concedendomi però anche in questo caso la libertà di apportare modifiche anche significative in corso d’opera.
A volte il risultato coincide con quello che mi ero“immaginato”, altre volte si discosta un po’, lasciando spazio alla “sorpresa” e alla scoperta che per me costituiscono l’essenza del ritratto.
D. Quali tecniche e materiali usi oggi?
Per il 35mm utilizzo prevalentemente una Canon Eos 5D, nel medio formato un’Hasselblad con dorso digitale Phase One. Di tanto in tanto uso ancora il mio vecchio banco ottico Sinar sul quale monto il dorso digitale Phase One P40+.
Per quanto riguarda l’illuminazione preferisco la luce flash, Profoto e Broncolor, e come luce continua Arri e Ianiro.
Da qualche anno ho creato a Roma una società (Studio 154) che offre servizi per i fotografi e per la fotografia; tra questi c’è il noleggio di attrezzature e di studi fotografici.
In questo modo ho il privilegio di stare in contatto costante con i migliori fotografi, oltre che con giovani collaboratori, ed ho la possibilità di provare in anteprima tutte le novità che il mercato offre.
Per quanto riguarda l’elaborazione delle immagini digitali mi sono attrezzato con Apple MacPro, Photoshop, Lightroom e Capture One, a mio parere il miglior software oggi esistente per quanto riguarda la gestione del flusso di lavoro.
D. Pellicola o digitale per la ripresa?
Se volessi bluffare (molti lo fanno) potrei dire che utilizzo ancora, come vent’anni fa, la pellicolaTri-X di Kodak, oppure l’HP5 e la FP4 Ilford, ma non è così. Certo queste pellicole sono state il mio strumento indispensabile per tanti anni, ma oggi sono altrettanto affascinato dalle nuove tecnologie digitali.
D. Come si svolge il tuo flusso di lavoro?
Nella ripresa mi lascio guidare dall’istinto e dalla complicità con il soggetto. Per fare una prima selezione delle immagini utilizzo Capture One o in alternativa Lightroom, archiviandole poi su dischi esterni. Questo per liberare le schede di memoria e rendere più fluido il lavoro di acquisizione.
Le immagini selezionate vengono sottoposte ad una prima ottimizzazione generale intervenendo sui livelli, sulla luminosità e sul contrasto, per poi essere convertite dal Raw nel formato Tiff, che rappresenta il mio standard.
Anche Photoshop fa la sua parte. Lo utilizzo sopratutto per la pulitura/spuntinatura delle fotografie proprio come ho fatto per vent’anni con pennellino e sgarzino.
La fase della stampa è quella più dolorosa e travagliata, a causa delle numerose variabili: la taratura del monitor, la luce dell’ambiente nel quale si opera, il metodo di colore utilizzato, la sincronizzazione tra le nostre periferiche e quelle dello “stampatore”, il supporto finale della stampa etc. La difficoltà sta appunto nel trovare il giusto compromesso tra quello che viene visualizzato a monitor e la stampa finale.
Per la consegna del lavoro, nel caso siano file, uso dei supporti digitali (CD, DVD, dischi rigidi), oppure lo trasferisco tramite Ftp.
D. Ha ancora senso oggi, in epoca digitale, scattare in bianconero?
Ponendo una domanda del genere ad un “fotografo anziano”(categoria nella quale rientro ampiamente, e non solo per questioni anagrafiche) corri il rischio di ricevere una risposta poco obiettiva e carica di nostalgia. Ma cercherò di essere il più obiettivo possibile.
Il bianconero rappresenta ancora oggi per il fotografo il mezzo per eccellenza, volendo interpretare la realtà in modo soggettivo. Ed anche in chi fruisce l’immagine questa rappresentazione scatena emozioni forti, la fa sentire propria. Non è
poco, già basta a renderla preziosa. E oggi più di ieri, considerata l’assenza di stimoli visivi (e di conseguenza emotivi) in cui siamo immersi.
Sono nato in un paese di montagna, bello ma grigio per quasi 12 mesi all’anno: un mondo“in bianconero”tutto da colorare!
Anche la gente che mi circondava, uomini ma sopratutto le donne, portavano abiti “senza colori”. Per me, che sono nato alla fine degli anni ’50, il bianconero è stato il modo per stare a contatto con il mondo
esterno, lontano da quello nel quale vivevo.
I giornali e le riviste dell’epoca erano prevalentemente in bianconero e la TV trasmetteva (per poche ore) solo immagini bianconero.
La mia fantasia e i miei sogni da bambino erano quindi anch’essi in bianconero.
Oltretutto proprio da bambino ho scoperto di essere miope, cosa che mi procurava rabbia e mi faceva sentire unico: vedevo le cose in maniera completamente diversa da come le vedevano gli altri. In qualche modo la fotografia rappresentava per me il modo per far vedere agli altri quello che loro non potevano vedere.
D. Ritieni preferibile scattare in bianconero, o effettuare la conversione dell’immagine a colori?
E’ inevitabile scattare a colori quando l’immagine viene realizzata con strumenti digitali; lo stesso vale anche nel caso si tratti di una pellicola a colori acquisita con lo scanner.
Ovviamente nella conversione l’immagine deve mantenere intatte tutte le sue caratteristiche salienti, la luminosità, il contrasto, i toni di nero e di bianco; un utilizzo incauto del software può compromettere il risultato in maniera significativa. La conoscenza approfondita delle tecniche conta in questi casi più di ogni altra cosa.
D. La stampa su carta è ancora fondamentale per la fruizione delle opere bianconero?
E’ovviamente fondamentale per un fotografo che ha vissuto in un periodo in cui il termine “fotografia” coincideva necessariamente con la “stampa”. Ma lo è limitatamente ad alcuni utilizzi specifici, ad esempio nel caso in cui si debba allestire
una mostra, oppure per opere Fine Art. Il vantaggio della tecnologia digitale è che grazie a software dedicati è possibile fare un’accurata selezione delle immagini prima di mandarle in stampa e questo riduce di molto gli sprechi, oltre ad innalzare il livello di qualità delle fotografia.
La stampa su carta baritata o politenata non è semplice, visto che è difficile trovare un “artigiano” che la pratichi ancora a tempo pieno. Faccio un esempio. Io lavoro nel centro di Roma e a pochi metri dal mio studio sino a qualche anno fa aveva sede uno dei migliori laboratori di stampa bianconero d’Italia; a lui facevano riferimento fotografi come Helmut Newton o Giampaolo Barbieri. Oggi in questo laboratorio sono stati installati vari plotter per la stampa digitale di alta qualità e apparecchiature simili; nessun problema quindi, se parliamo di stampa digitale di qualità, mentre volendo stampare su baritata la situazione è più complessa.
D. Esegui personalmente la stampa del bianconero?
Eseguo stampe con parsimonia e solo al momento del bisogno, imponendomi di riprodurre un numero limitatissimo di copie (da una a tre). Se possibile le stampo da solo noleggiando la camera oscura più adatta alle mie esigenze, dato che la mia, ormai da qualche anno, ospita la cameretta di mio figlio.
Quanto conta la stabilità delle immagini nel tempo?
E’ fondamentale, sopratutto se ci si riferisce alla stampa Fine Art; credo però che neanche la natura digitale dell’immagine potrà preservarla all’infinito.
La “stampa originale” di una fotografia nasce dal lavoro congiunto di fotografo e stampatore, e nessuno potrà, tra dieci o cento anni, riprodurre l’esatta copia di quella originale basandosi solo sulle informazioni digitali a sua disposizione! E poi
quello che oggi rappresenta uno standard di stampa potrebbe non esserlo più domani e l’operatore, pur con tutte le più buone intenzioni, non potrebbe che dare una sua personale interpretazione.
Come ritieni debba essere il rapporto tra il fotografo ed il suo stampatore?
In passato ho sempre stampato io stesso le mie fotografie e quindi non ho mai avuto modo di affrontare questo problema.
Quelle poche volte che mi sono rivolto ad uno stampatore non nego di avere molto sofferto, ma potrebbe essere dovuto alla natura commerciale del rapporto e al mio carattere difficile.
L’esperienza del passaggio al digitale l’ho vissuta con grande entusiasmo perchè mi regalava l’illusione che avrei potuto fare tutto da solo. Ho iniziato realizzando sin da subito i miei lavori “digitali” ma poi ho prestato la mia opera a tanti colleghi che si disinteressavano di queste questioni tecniche, ma avevano la necessità di elaborare“ digitalmente”le loro immagini.
Quindi nel mio caso le due figure di operatore e di fotografo coincidono; è un privilegio, ma anche un limite. Se l’esperienza trentennale mi ha fornito gli strumenti necessari per gestire tutte le fasi del lavoro di produzione, non ritengo positivo non potersi confrontare. Più in generale, vi è il rischio di uno scambio (confusione) dei ruoli: il fotografo non fa più il fotografo e l’operatore si improvvisa fotografo!
D. Quale rapporto ritieni ci sia tra uno scatto destinato al bianconero ed uno al colore?
Se per scatto fotografico destinato al bianconero intendi la stampa tradizionale da pellicola su carta fotografica escluderei in partenza di prendere in considerazione il “trattamento digitale”. Se invece ti riferisci ad una stampa realizzata con processo digitale allora direi che il legame è di tipo “meramente tecnico”.
Nella realizzazione di una fotografia destinata alla stampa bianconero con processo digitale bisognerà tenere sempre in seria considerazione la “latitudine di posa” del sensore della fotocamera e di conseguenza le fonti di illuminazione e la qualità della luce. Bisogna quindi conoscere la “destinazione” dello scatto avendo chiaro il risultato che si vorrà ottenere.
Faccio un esempio: se il mio scatto fotografico avrà come destinazione la stampa Fine Art, che dovrà quindi rispettare al massimo il tono continuo della stampa, oltre al dettaglio dovrò fare in modo di acquisire sin dalla fase della ripresa il massimo delle informazioni possibili, preservando la leggibilità dei dettagli sia nei toni chiari, che nei toni scuri e in quelli intermedi. Sembra ovvio, ma non sempre lo è.
La nostra fotocamera digitale utilizza il metodo di ripresa RGB, cioè acquisisce l’immagine utilizzando 3 colori. Questi 3 colori nel caso del bianconero corrispondono (quasi) ai filtri colorati della mia vecchia Exacta analogica: il rosso nella ripresa bianconero esalterà quindi le zone di blu, e così via. Non tenere in considerazione questi aspetti può comportare un forte degrado dell’immagine durante la sua conversione in bianconero.
Con questo intendo dire che la qualità di una stampa in bianconero realizzata con le tecniche digitali presuppone una conoscenza accurata di tutte le fasi intermedie, dalla ripresa alla stampa finale.
D. Quando scatti in bianconero “vedi” a colori o in bianconero?
In verità quando scatto non vedo molto! In quel momento mi lascio andare, o perlomeno mi illudo di farlo. Le somme le tiro alla fine del lavoro. Se l’immagine mi soddisfa sono “a posto con la coscienza”, il risultato rispecchia esattamente le mie intenzioni. Se accade il contrario mi dico che qualcosa non ha funzionato e studio le soluzioni per fare meglio la volta successiva.
Quindi vedo un po’ a colori, e un po’ in bianconero.
D. Ritieni che il bianconero vada ancora “imparato” nell’era digitale, o è solo una declinazione del colore?
Ritengo che il fotografo moderno, che non ha conosciuto la fotografia tradizionale, dovrebbe essere affascinato e sedotto dal bianconero, e quindi provare un forte interesse ad approfondirne la conoscenza.
E’ un know-how prezioso che credo potrebbe essere utile per costruirsi una propria “identità” sia in ambito artistico che commerciale. In generale noto che vi è una diffusa mancanza di formazione “artigianale”, di manualità, che rende piatta e ripetitiva l’offerta fotografica.
D. Tre motivi per percorrere le strade del bianconero, e tre casi in cui è meglio il colore.
Premesso che nessuna di queste due scelte può essere considerata “migliore” dell’altra, in breve:
La Fotografia in Bianconero scruta, evoca, scandaglia.
La Fotografia a Colori mostra, illustra, semplifica.
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